giovedì 29 ottobre 2009

TRA CENTRI COMMERCIALI, FUTURA PEDEMONTANA E TRAFFICO


L'incontro tra i sindaci e i commercianti di cui si è parlato nei giornali locali, sui futuri centri commerciali ci fà vedere che l'invivibilità, la cementificazione e l'inquinamento, saranno sempre maggiori nel nostro territorio.

La continua cementificazionie che sta avvenendo lungo la statale 47, con la costruzione di continui centri commerciali e direzionali, porterà al collasso della viabilità. Quindi per far fronte a questo, viene sollecitata la costruzione della Pedemontana nonchè di altre bretelle con ulteriore cementificazione, aumento del traffico e dell'inquinamento.

Erano proprio utili tutti questi centri commerciali? Da questo risulta sempre più necessario chiedere lo STOP AL CONSUMO DEL SUOLO.




Articolo del Giornale di Vicenza.

Avviare al più presto i lavori per la Pedemontana, realizzare la bretella di Fontaniva, potenziare il trasporto su rotaia e superare le logiche di campanile per costruire assieme una viabilità sostenibile per il territorio. Nell'imminenza dell'apertura del futuro centro commerciale Eurobrico, prevista per il prossimo 24 novembre, e dell'attivazione lungo la statale 47 di un'enorme quantità di metri quadri commerciali e direzionali, l'Unione del commercio torna ad affrontare il tema della viabilità.
La presidentessa dell'Umce Teresa Cadore e il suo vice Paolo Lunardi hanno riunito attorno ad un tavolo gli amministratori di Bassano, di Rosà, Cassola e Romano per fare il punto sulla situazione e per concertare una serie di interventi tesi ad evitare il collasso sull'asse viario nord-sud e il cosiddetto "effetto - tappo", ossia un blocco del flusso veicolare diretto verso il centro storico, che rischierebbe così di restare totalmente isolato.
Da tempo, d'altro canto, i commercianti insistono sull'inadeguatezza dell'assetto viario dell'area a sud est di Bassano rispetto alla concentrazione di colossi commerciali previsti in quella zona e la stessa Valutazione d'impatto ambientale elaborata in funzione della nuova struttura destinata ad aprire presto i battenti in via Capitelvecchio stima che per il traffico proveniente da Rosà la saturazione sarà superiore al 40 per cento rispetto alla capacità della nuova rotatoria e che potrebbero formarsi code della lunghezza di 250 metri. Una situazione insostenibile anche dal punto di vista emotivo e psicologico per tutti gli automobilisti, sottoposti ad un forte stress da traffico.
Per questo, già da settembre l'Umce ha invitato primi cittadini dei Comuni interessati a chiarire quali soluzioni siano in progetto sul lungo periodo e quali strategie si possano invece mettere in atto sin da subito per scongiurare ingorghi, code e soprattutto l'isolamento di Bassano da Padova e da Treviso. A Rosà, hanno rilevato Cadore e il direttore dell'Umce Riccardo Celeghin, si rischia che comincino a formarsi terribili intasamenti.
«L'unica soluzione - spiegano - sarebbe la realizzazione di una bretella che, partendo da Limena e attraversando Fontaniva, si congiunga con la Pedemontana. Una strada parallela al tradizionale asse sud-nord che è già sulla carta ma che, per i veti imposti dai Comuni toccati dal tracciato, probabilmente non verrà costruita prima di dieci anni».
«Vista la vicinanza delle prossime elezioni regionali - ha proseguito la portavoce dei commercianti - confidiamo invece che la Superstrada Pedemontana parta entro il prossimo anno».
Tra dodici mesi esatti invece, a quanto ha assicurato ai vertici dell'Umce il sindaco cassolese Silvia Pasinato, prenderanno avvio i lavori per la costruzione di un sistema stradale sviluppato su 5 rotonde che, partendo dai due rondò di prossima realizzazione in zona Boscardin e in zona Fiat, permetterà un più snello deflusso in uscita verso est, nell'area del Parco commerciale 47.
Nel frattempo, però, gli automobilisti dovranno accontentarsi dell'assetto viario esistente e sperare che vengano messi in atto quegli interventi d'emergenza allo studio degli uffici tecnici di Bassano e di Cassola. In particolare le due municipalità propongono, in caso di estrema congestione, di far deviare il flusso delle auto in arrivo da Padova verso ovest, sfruttando viale De Gasperi e via Colombo. I commercianti confidano infine in un decisivo potenziamento della linea ferroviaria che attualmente, ha stigmatizzato Cadore, si trova in uno stato simile a quello dell'anteguerra.
«Ci stiamo occupando di questi temi non solo come rappresentanti sindacali - ha concluso la presidentessa - ma perché le grandi scelte urbanistiche riguardano tutti. Il nostro non è un territorio fatto di diversi paesi ma un comprensorio da osservare nella sua interezza». [FIRMA]
Caterina Zarpellon

giovedì 22 ottobre 2009

IL SISTEMA CHIUSO DEL PROJECT FINANCING IN VENETO


Un interessante articolo tratto da Carta Est Nord

La decisione degli assessori Donazzan e Giorgetti di astenersi sulla proposta di project financing per la realizzazione della superstrada a pagamento della Valsugana, nella Giunta Regionale di martedì 4 agosto 2009, può costituire una buona occasione per una riflessione generale che da tempo richiediamo alla politica regionale.



L’accusa, nemmeno tanto velata, riportata dalla stampa regionale, è: lavorano sempre i soliti.

Sarebbe cosa utile per tutta l’opinione pubblica veneta e italiana stampare l’elenco delle principali commesse pubbliche, o di società a partecipazione pubblica, realizzate negli ultimi quindici anni in Regione per valutare in maniera obiettiva la situazione.

Lavorano sempre i soliti perché il sistema è chiuso ed è un sistema oliato e perfetto nelle sue dinamiche finanziarie, economiche e sociali.

Le “solite”grandi imprese regionali sono in condizione di proporre e realizzare grandi opere infrastrutturali grazie a buoni rapporti con i decisori politici e una adeguata disponibilità di finanziamenti bancari.

Alla fine un sistema chiuso di comportamenti economici e sociali.



Il vizio di questo sistema sta a monte e qualora si decida di modificarlo bisogna invertire i fattori della decisione politica.

In questi anni moltissime decisioni sulle infrastrutture sono state discusse, proposte e assunte nei piani alti delle società di costruzioni, avvallate dalle associazioni di rappresentanza delle aziende, avanzate attraverso una martellante campagna mediatica, infine fatte proprie dal potere politico.

Le aziende fanno il loro interesse e mestiere. Nessuno dotato di senno può chiedere loro di votare per fare altro rispetto alla ragione economica e sociale che è costruire infrastrutture.



Bisogna riportare al centro del dibattito regionale, con lealtà e coraggio, le seguenti priorità:



La programmazione regionale. In questi anni la programmazione regionale è sparita. Il piano regionale dei trasporti è fermo al 1990. Nel contempo, nell’attesa del nuovo PTRC, si sono progettati, in particolare modo da parte delle società autostradali, numerose strade a pagamento con l’utilizzo della finanza di progetto. Sarebbe indispensabile che il Consiglio Regionale affronti questa questione in modo chiaro e trasparente, definisca le priorità infrastrutturali, la pianificazione territoriale in accordo con le amministrazioni locali regionali e le parti sociali, selezioni i bisogni reali, indichi bandi per l’aggiudicazione di opere da realizzare con finanza di progetto.

Alla fine sarebbe indispensabile che fosse la Regione a fissare l’agenda dei lavori e non le società di costruzione, come è capitato per gli ospedali e le strade.



Il pagamento dell’opera. L’uso dello strumento della finanza di progetto andrebbe utilizzato in modo selettivo da parte della Regione per evitare che si attacchi il principio della lealtà fiscale del cittadino verso la sussidiarietà statale. Il cittadino paga le tasse e in cambio ha il diritto di ricevere servizi adeguati e dignitosi secondo il livello di contribuzione versato. In Veneto le cose stanno così: le rimesse statali sono scarse; il federalismo è cosa vuota; la disparità di trattamento con altre Regioni italiane è evidente; le nuove opere stradali sono ormai tutte realizzate in finanza di progetto. Alla fine il cittadino paga le tasse previste e raddoppia la lauta paga alle società autostradali per consentire i piani di rientro di sostenibilità economica delle opere.



Il rischio d’impresa scaricato sull’utente. Le nuove strade sono pagate dai flussi di traffico veicolare. Tariffe alte come nel caso del Passante di Mestre. Se poi non bastassero le rimesse per la sostenibilità economica dell’opera si aggiustano verso l’alto le tariffe in accordo con la società di gestione, o si creano le condizioni per incrementare la saturazione della strada attraverso la costruzione di nuovi insediamenti economici e sociali lungo l’arteria. Alla fine si dovrebbe, dopo i vent’anni di tariffe alte servite per ripagare l’opera rivedere in riduzione le tariffe del pedaggio. Nemmeno questo: è già pronto un nuovo piano di opere da finanziare perché il business non si interrompa.



Buone opere, non solo grandi opere. Le società interessate hanno sempre nuove grandi opere in cassetto da proporre al sistema. Le grandi opere sono tutte prioritarie ed indispensabili? La contraddizione scoppiata tra Valdastico Nord e Valsugana è il paradigma di questa confusione infrastrutturale.

E’ possibile che alla nostra Regione serva qualche grande opera in meno e al suo posto un migliaio di piccole buone opere che favoriscano invece la competizione e la risoluzione dei tanti punti critici della mobilità di merci e persone.



Separare le funzioni e ridurre le società. Nelle società autostradali sarebbe opportuno porsi il problema della discutibile situazione in cui i controllori dell’interesse pubblico (amministratori locali) svolgono contemporaneamente il compito di gestori. La funzione di indirizzo e controllo andrebbe anche fisicamente separata dalla gestione. Infine sei società autostradali nella tratta più remunerativa d’Italia appaiono un costo, a maggior ragione in tempi di crisi, difficilmente sostenibile per le famiglie e le persone della nostra regione.



La rendita: soldi sottratti all’apparato manifatturiero. Il finanziamento di progetto di grandi opere come le strade a pagamento è un investimento buono e sicuro. Questo spiega l’attuale proliferazione dei progetti di nuove strade a pagamento in tutta la Regione. Possibile che non ci si interroghi adeguatamente sul fatto che da un lato si tratta di risorse finalizzate alla rendita nel mentre in tempi di crisi come quelli attuali si dovrebbero orientare le scarse risorse verso il sostegno alla innovazione e ricerca del sistema produttivo regionale e dall’altro contemporaneamente si riduce la capacità di reddito del cittadino. Il costo del pedaggio autostradale, considerati gli aumenti 2008/2009 sulla tratta

Padova – Venezia alla fine vale per un pendolare il 10% dello stipendio mensile.



Piano generale dei trasporti, non solo strade. Il ritardo infrastrutturale della nostra Regione, rispetto alle altre regioni italiane e europee, è necessario sia colmato. Si tratta di realizzare anche strade ma l’attenzione della politica regionale non può essere unicamente rivolta alle strade a pagamento. Facciamo come le Regioni vicine (Trentino, Alto Adige, Lombardia, Friuli) che stanno investendo in maniera decisa sulla ferrovia ( potenziamento della rete, apertura nuove linee ferroviarie, avvio di società regionali opportunamente finanziate, sostegno logistico al trasporto cargo,deciso sviluppo della intermodalità) e per tale iniziativa rispettano l’ambiente, riducono il consumo di territorio per nuove strade e migliorano le condizioni di vivibilità delle persone.
Diamo corso alle scelte infrastrutturali e gestionali riguardanti ferrovia e porti per offrire un servizio logistico articolato ed equilibrato sulle possibili alternative al solo trasporto su gomma.

domenica 11 ottobre 2009

STOP AL CONSUMO DEL TERRITORIO BASSANESE

Stop al Consumo di Territorio
www.stopalconsumoditerritorio.it





I nostri paesi, ormai, di verde in pianura nè hanno ben poco e si continua ancora a cementificare e a costruire, basta vedere Cassola, il nuovo progetto di area industriale e produttiva a Pove del Grappa, le zone residenziali che si stanno costruendo a Bassano del Grappa ecc....

Sarebbe ora che iniziasse anche nel nostro territorio un movimento di persone dal basso che spinga i nostri amministratori a cambiare rotta per porre un freno a questa cementificazione.

A questo riguardo, mi sembrava interessante inserire nel blog il Manifesto Nazionale del Movimento Stop al Consumo di Territorio.


MANIFESTO NAZIONALE



Il consumo di territorio nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante. Negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha cavalcato una urbanizzazione ampia, rapida e violenta. Le aree destinate a edilizia privata, le zone artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità, ecc.).


Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini.


Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone e regioni urbane. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio).


Tutto ciò porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che si può definire la “città continua”. Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una “conurbazione” ormai completa per molte aree del paese.


Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative? Sì!

Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo e alla cosiddetta “crescita zero”, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.


Il movimento di opinione per lo STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO e i firmatari individuano 6 principali motivi a sostegno della presente campagna nazionale di raccolta firme.
STOP: PERCHÉ?


1. Perché il suolo ancora non cementificato non sia più utilizzato come “moneta corrente” per i bilanci comunali.

2. Perché si cambi strategia nella politica urbanistica: con l’attuale trend in meno di 50 anni buona parte delle zone del Paese rimaste naturali saranno completamente urbanizzate e conurbate.

3. Perché occorre ripristinare un corretto equilibrio tra Uomo ed Ambiente sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal punto di vista paesaggistico.

4. Perché il suolo di una comunità è una risorsa insostituibile perché il terreno e le piante che vi crescono catturano l’anidride carbonica, per il drenaggio delle acque, per la frescura che rilascia d’estate, per le coltivazioni, ecc.

5. Per senso di responsabilità verso le future generazioni.

6. Per offrire a cittadini, legislatori ed amministratori una traccia su cui lavorare insieme e rendere evidente una via alternativa all’attuale modello di società.