mercoledì 30 dicembre 2009

WWF: IL 2009 ANNO NERO DA DIMENTICARE


SIAMO MESSI MALE

Roma, 30 DIC (Velino) - Il 2009 per il WWF verra' ricordato in Italia come un anno critico per l'ambiente, dalla pioggia di cemento attraverso i piani
casa alle continue alluvioni e frane, dal rilancio del nucleare a quello di infrastrutture imponenti e discutibili come il Ponte sullo Stretto, dalle
vicende delle navi dei veleni ai tentativi di deregulation sulla caccia.
Il Belpaese ha poi mostrato in maniera particolare tutta la sua fragilita' ambientale, aggravata anche dai sempre piu' violenti effetti dei mutamenti
climatici, e una sofferenza cronica rispetto a gravi problemi di inquinamento che si trascina dal passato e che scelte pericolose come il nucleare
rischiano di aggravare ulteriormente. E la 'cartina tornasole' sulle scelte di politica ambientala, ovvero, la Finanziaria 2010, mette a nudo
l'assenza di strategia e finanziamenti su questo fronte lasciando cosi' l'ambiente a 'tasche vuote' nonostante gli impegni proclamati in ambito
internazionale, dal clima alla biodiversita'.
Gia' a meta' anno la denuncia del WWF era stata lanciata dopo aver assistito ad un vero e proprio boom edificatorio in moltissime citta' (clamoroso
l'esempio di Roma) e alla luce dei cosiddetti Piani Casa, approvati in modo autonomo da tutte le Regioni e che hanno dato vita ad una normativa
disomogenea che e' andata ben oltre gli ampliamenti delle abitazioni uni e bifamiliari.
Addirittura nel caso della Sardegna il Piano Casa regionale ha interferito in modo pesante con tutti i vincoli posti dalla pianificazione
paesaggistica. Interventi di questo tipo mostrano tutta la loro assurdita' se si pensa a quello che e' accaduto nel 2009: dal terremoto dell'Aquila
all'alluvione con frana in provincia di Messina e poi piu' recentemente anche ad Ischia ed in Toscana in Garfagnana e Versilia. In questa Italia a
rischio, ormai molto ben conosciuta, non solo tardano gli interventi di messa in sicurezza ma mancano tutte le azioni preventive serie, oltre che
repressive, che frenino altre infrastrutturazioni in aree sensibili per le caratteristiche sismiche o idrogeologiche.
Il 2009 - scrive il WWF tracciando il bilancio per l'anno che si sta per chiudere - verra' sicuramente ricordato per il rilancio del nucleare, una
'virata' di 180 gradi nelle politiche che riguardano l'ambiente forse ancora poco percepita, per la gravita' degli effetti e l'assurdita' degli
investimenti, dalla grande opinione pubblica.
Mancano ancora alcuni mesi per la decisione definitiva sulla localizzazione dei siti delle nuove centrali e del centro nazionale di stoccaggio dei
rifiuti radioattivi e com'e' noto si aspettano le elezioni regionali per timore di possibili ripercussioni sul voto, ma la scelta nucleare e' stata
ormai decisa dal Parlamento alla fine di luglio. Ben 10 Regioni, ritenendosi giustamente escluse dal processo decisionale, hanno ricorso in Corte
Costituzionale che si pronuncera' nel 2010. A quel punto la questione iniziera' ad essere percepita come concreta ed imminente e si apriranno nuovi
confronti che inevitabilmente coinvolgeranno in modo piu' diretto le popolazioni delle zone prescelte per i nuovi impianti.
C'e' ancora una significativa discrepanza tra le dichiarazioni di principio che, soprattutto a livello internazionale, il Governo assume e
l'attuazione delle politiche ambientali in Italia, annota ancora il Wwf. Buoni e in larga misura condivisibili sono stati i documenti conclusivi del
G8 Ambiente di Siracusa (in aprile), e del G8 dell'Aquila (a luglio), ma ben poco di tutto cio' si e' visto nel pratico. Ma i segnali che in generale
la politica italiana sta dando vanno nella direzione opposta. La cartina tornasole sulla 'sensibilita' ambientale delle politiche nazionali e' proprio
la Legge Finanziaria approvata in Parlamento che traghetta l'Italia verso il 2010.
Si inizia l' anno internazionale della biodiversita' come dichiarato dall'UICN senza stanziamenti adeguati: il nostro paese, che detiene molti
primati in termini di ricchezza di specie e habitat, non destina nemmeno un centesimo di euro per la definizione e attuazione della Strategia
Nazionale a tutela della biodiversita', nonostante le scadenze internazionali (Countdown 2010) e i solenni impegni assunti con la Carta di Siracusa, a
conclusione del G8 Ambiente.
E nell'Anno del Clima, a pochi giorni dalla conclusione del vertice di Copenaghen dove il tema dell'aiuto allo sviluppo e' stato centrale, suona
stridente la conferma del taglio, gia' operato con la Legge Finanziaria 2009, del 49%, dei fondi destinati con la Legge Finanziaria 2008 all'aiuto
pubblico in favore dei Paesi in via di sviluppo. Ci si e' dimenticati poi degli impegni assunti dall'Italia sui cambiamenti climatici assunti sempre
in sede G8 in attuazione del Protocollo di Kyoto visto che non e' previsto alcun fondo (la Legge Finanziaria 2007 destinava 200 milioni di euro al
Fondo rotativo per Kyoto) e non e' stato individuato alcuno strumento per la riduzione delle emissioni di Co2. Come se non bastasse, in campo
energetico sono stati tagliati i 50 milioni di euro destinati complessivamente al Fondo sull'efficienza energetica (38,624 mln, nel 2009) e agli
incentivi per il risparmio energetico (11,587 mln di euro, nel 2009) e non c'e' traccia della copertura della detrazione di imposta del 55% per
interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti.
Nonostante le sacrosante proteste del Ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo, nel 2010 diminuiranno nel loro complesso le risorse per
l'ambiente: circa 276 milioni di euro (tra Legge Finanziaria e Bilancio 2010), spiccioli se si considera che stiamo parlando di difesa mare, difesa
suolo e bonifiche, aree protette, ISPRA e CITES, Convenzione internazionale sul commercio delle specie protette.
Il rischio e' anche quello di una significativa diminuzione dei controlli ambientali per mancanza di risorse visto che a ISPRA, nella quale sono
confluiti anche ICRAM (l'Istituto di ricerca sul mare) e INFS, (l'Istituto nazionale per la fauna selvatica) si destinano nel 2010 solo 86 milioni di
euro quando alla sola APAT lo scorso anno, la Legge Finanziaria 2009 destinava 90 milioni di euro.
Il Governo - scrive il Wwf - insiste sull'impostazione delle grandi opere strategiche destinando oltre 1 miliardo e 564 milioni circa di euro alle
infrastrutture strategiche (autostrade e linee ad alta velocita' ferroviaria) a fronte di fondi 15 volte inferiori destinati alla mobilita' urbana
(solo 120 milioni di euro).
Dunque i disastri continuano a non insegnare nulla visto che non si hanno notizie della piu' grande e importante opera pubblica del Paese, ovvero, la
sistemazione del dissesto idrogeologico ancora senza finanziamenti adeguati e senza un piano pluriennale d'interventi.
Il 2009 sara' ricordato anche per il disastro ferroviario di Viareggio e anche per questo appare clamoroso il fatto che non ci siano risorse ne' per
la sicurezza ferroviaria ne' per quella stradale. Eppure, per rimarcare la scelta delle Grandi Opere strategiche per il Paese si e' arrivati persino
al tentativo di far passare la variante ferroviaria di Cannitello a Reggio Calabria, opera da tempo aspettata e richiesta per migliorare il traffico
ferroviario e come tale approvata, quale avvio della costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina; restano ancora le follie dell'Autostrada della
Maremma la cui scelleratezza economica ed ambientale e' chiarissima e l'Alta Velocita'.
Il 2009 - sottolinea il Wwf - verra' ricordato anche per il tema delle navi dei veleni: nonostante le notizie fossero da anni circolate anche in
ambito parlamentare e fossero oggetto d'indagine da parte di diverse Procure, quest'anno il tema ha suscitato grandissima attenzione. Nonostante il
gran clamore mediatico suscitato, il tema sembra essere precipitato di nuovo nel silenzio come se le rassicurazioni date per il carico della nave
inabissata a largo di Cetraro possano estendersi alle altre decine di navi del cui affondamento doloso si ormai certi.
Infine, se il 2009 e' stato l'anno del clima, il 2010 sara' l'anno internazionale della biodiversita' e, oltre al gia' citato mancato finanziamento
per attuare la Convenzione internazionale sulla biodiversita' , il WWF segnala continui tentativi di modificare, peggiorandole, le leggi italiane
sulla tutela della natura e della fauna selvatica, come ad esempio la Legge quadro sulla caccia. Nel corso del 2009 infatti sono stati numerosi i
tentativi di approvare pessime modifiche, con la tecnica degli emendamenti "blitz" presentati in disegni di legge in discussione aventi ad oggetto
materie del tutto diverse.
Grazie alla mobilitazione tempestiva del WWF e delle altre associazioni queste modifiche sono state respinte. Non abbiamo, invece, registrato nel
corso dell'anno alcun segnale in positivo per la tutela della fauna, dei parchi, degli habitat naturali, del mare, che sarebbero invece assolutamente
necessari in un Paese che divora ogni anno una percentuale preoccupante del patrimonio di biodiversita' e di territorio.

martedì 29 dicembre 2009

CROMO E TUMORI , IN TRE A PROCESSO


Articolo del Giornale di Vicenza sulle ultime novità del caso Tricom di Tezze

Svolta nell’inchiesta sulla Tricom-Pm Galvanica di Tezze. Per tre dei quattro indagati, accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni gravi e l’inosservanza delle norme per la sicurezza sul lavoro, è stata disposta dal gip Barbara Maria Trenti l’imputazione coatta. Il provvedimento è stato emesso nei giorni scorsi e adesso il pubblico ministero Giovanni Parolin dovrà stilare il capo d’imputazione e chiedere il rinvio a giudizio. I tre sono Rocco Battistella, Paolo Zampierin e Adriano Sgarbossa. Esce di scena invece il quarto indagato, Angelo Zampierin, perchè i dati formali delle ditte galvaniche escludono che avesse mai avuto compiti decisionali nel reparto cromatura: per lui si profila l’archiviazione per non aver commesso il fatto. L’accurata analisi svolta dal giudice nelle ultime settimane, dopo l’ennesima istanza di archiviazione avanzata dalla procura, ha portato inoltre all’archiviazione di otto delle 14 parti offese, in alcuni casi perchè è intervenuta la prescrizione e in altri perchè non è emersa alcuna relazione tra le patologie che hanno colpito gli ex lavoratori e l’esposizione al cromo esavalente. Il giudice, con l’ordinanza che dispone l’imputazione coatta, rileva come la complessa indagine effettuata dalla sezione di polizia giudiziaria del corpo forestale dello Stato, guidata dall’ispettore superiore Alberto Spoladori, abbia portato a rilevare «all’interno del ciclo di lavorazioni galvaniche della Tricom e della Pm la consapevole e ostinata omessa attivazione dei presidi previsti dalla legge ai fini della tutela dell’integrità fisica dei lavoratori». Una perizia, sempre citata dal gip, aveva tra l’altro evidenziato come «i datori di lavoro si fossero limitati ad accorgimenti di tutela insufficienti, e ciò nonostante fossero stati sanzionati dagli Enti di controllo specifici». A questo punto, Rocco Battistella, Paolo Zampierin e Adriano Sgarbossa dovranno difendersi in sede dibattimentale. A loro saranno contestate le vicissitudini di sei ex lavoratori del reparto cromatura, alcuni deceduti e altri affetti da patologie, e delle loro famiglie, che da anni chiedono giustizia. A sostenerli, il Comitato per la salute di Tezze, che si è battuto con sit-in e attività di sensibilizzazione per portare in giudizio gli indagati. Sul processo potrebbero pesare le decisioni del tribunale di Cittadella, che ha condannato Zampierin per il disastro ambientale legato allo sversamento di cromo nella falda, e la recente decisione del giudice civile, che ha assegnato un risarcimento di 800 mila euro alla famiglia Bonan per la perdita di Domenico, morto in seguito a un cancro legato all’esposizione a sostanze dannose.D.M.

AUTOSTRADE DI CONSIGLIERI




Il caso Nel Nord Est proliferano gli amministratori della rete viaria. Per 7.000 chilometri ce ne sono 68. Un esempio negativo della spartizione delle poltrone.


Che pacchia nel Nord-Est. Per 7.000 chilometri di autostrade ci sono 68 consiglieri di amministrazione: una media di 10 chilometri a testa.
La pacchia dura oramai da anni, fiumi di danaro scorrono a vantaggio di amministratori quasi sempre designati in base non a competenze tecniche ma a spartizioni tra gruppi e gruppetti del centrodestra.
Nessuna voglia, men che mai alcun interesse, a ridimensionare questi carrozzoni. Certo, non c'è uniformità. Qualche primato non si nega: nella società che gestisce la Brescia- Padova non ci sono solo 9 consiglieri, ma un collegio sindacale di 7 tra effettivi e supplenti, che manco la Banca d'Italia. E qualche bulimia è bellamente consentita senza che alcuno se ne stupisca: così il record di affollamento di consiglieri per chilometro è saldamente in mano alla Società per azioni Venezia-Padova: in 15 per gestire 23 chilometri di autostrada.
Come dire: poco più di un chilometro e mezzo a testa. Insomma, meno c'è da amministrare e più sono i consiglieri delegati a gestire.
Ma c'è di più e di peggio: nella società che gestisce l'Autobrennero c'è un mega-consiglio d'amministrazione: 24 più il presidente, più i classici 5 sindaci. E questa struttura è considerata ottimale, corretta, rispetto alla precedente, quando non solo i consiglieri erano 29 ma il presidente si era circondato di ben quattro vicepresidenti. Ancora?
L'aveva rivelata, un paio d'anni addietro, una indignata inchiesta del Gazzettino del Nord Est. La Spa che gestisce la Brescia- Padova, pur avendo come soci enti pubblici e società a capitale altrettanto pubblico, vanta partecipazioni in società estere residenti in paradisi fiscali. Come si concilia con il principio di trasparenza della gestione di una impresa pubblica? Non è in contrasto, codesta Spa, con la propria natura di concessionario di un servizio pubblico come quello autostradale, che peraltro si svolge unicamente sul territorio nazionale?
Lo aveva chiesto, allora, un deputato della (ex) Udeur, lo stesso che aveva chiesto lumi sugli spropositati emolumenti pagati agli amministratori dalla Serenissima Spa, società-madre della Brescia-Padova: nessuna risposta dal governo e dal ministro dei Lavori pubblici dell'epoca, Antonio Di Pietro.
Perché un ritratto, pur parziale, dell'allegra gestione autostradale di un solo angolo d'Italia? Perché è un esempio illuminante del mare magnum degli incarichi pubblici, della spartizione del potere ai livelli medio-bassi.
Un'osservazione ai Brunetta (Pubblica amministrazione), ai Matteoli (Infrastrutture e Trasporti), ai Calderoli (Semplificazione normativa): giusto sfoltire i consigli degli enti territoriali, purché siano tutelati i diritti di tutte le minoranze. Ma perché non liberarci di un esercito di peones sistemati nei Cda delle società a capitale pubblico, a partire dalla mangiatoia delle imprese pubbliche che gestiscono - non solo nel Nord Est - le autostrade?

giovedì 24 dicembre 2009

Le morti "nere": processo al Nordest


Articolo di due mesi fa, ma sempre attuale.
Di Luca Matteazzi


Dalla Calabria al bassanese, due indagini della magistratura
si concentrano sui possibili legami tra lavoro in fabbrica e decessi di operai



Due storie lontane centinaia di chilometri, eppure unite da una sottile linea nera. Nera come il colore della morte. Perché quello che accomuna Praia a Mare, piccolo paese affacciato sul mare di Calabria, e Tezze sul Brenta, sono due indagini sulle storie di operai che sarebbero morti a causa delle condizioni in cui erano costretti a lavorare. Due esempi di "miracolo industriale" che si trasforma, nel silenzio e nell'indifferenza generali, in incubo. Il primo è il caso della fabbrica calabrese della Marlane, che a fine settembre ha portato ad una serie di avvisi di reato per omicidio colposo e disastro ambientale per quattordici persone; il secondo è quello della ex Tricom Galvanica di Tezze, da anni al centro di indagini per l'inquinamento delle falde acquifere e per i decessi di alcuni lavoratori. In tutti e due i casi ci sono di mezzo veleni, tumori e complicati percorsi giudiziari. E in tutti e due i casi c'è qualcosa di vicentino.



Marlane, Calabria
Ma andiamo con ordine. La Marlane è tornata ad occupare le cronache, anche nazionali, in queste settimane (ne ha parlato, ad esempio, La Repubblica), in seguito alla conclusione delle indagini e alla richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura di Paola, in provincia di Cosenza. Ma la storia parte da ben più lontano. La fabbrica, infatti, viene creata negli anni 50 come Lanificio di Maratea dall'industriale biellese Stefano Rivetti, e lavorava soprattutto per forniture militari. Nel 1969 lo stabilimento viene ceduto al gruppo Eni-Lanerossi, che apporta alcune modifiche fondamentali: da un lato introduce i primi sistemi per il trattamento dei fanghi e per l'ossigenazione dei reflui, dall'altro abbatte però tutte le pareti divisorie, creando un unico ambiente di lavoro. Il risultato fu che i fumi delle sostanze utilizzate nel reparto tintoria poterono così diffondersi anche agli altri settori.





Il racconto
"Dal 1959 al 1963 le misure di sicurezza all'interno delle fabbriche non si conoscevano proprio però Maratea aveva solo la tessitura e l'incollaggio e non aveva altri tipi di lavorazione nocive - ha raccontato al sito internet Sciroccorosso Luigi Pacchiano, un ex dipendente Marlane a cui i tribunali hanno riconosciuto l'origine professionale del tumore che l'ha colpito -. Dal 1963 al 1966 sono uscito per motivi personali dalla fabbrica. Nel 1966 sono rientrato e nel 1969 fummo trasferiti a Praia a mare. Che si chiamava Marlane. Qui c'era la filatura, la tintoria , il fine saggio. Quando siamo arrivati noi la fabbrica è stata cambiata totalmente. Arrivando noi hanno smantellato tutti i muri divisori che prima dividevano i vari reparti e tra questi la tintoria che nella metà degli anni 60 era divisa dagli altri reparti. E così la Marlane di Praia a Mare diventò un unico ambiente. La tessitura e l'orditura che arrivarono dalla fabbrica di Maratea vennero inserite fra la filatura e la tintoria e il fine saggio senza alcuna divisione. Io facevo l'orditore, cioè quelli che preparano l'ordito per la tessitura. E lavoravo a due tre metri di distanza dalle macchine della tintoria. Senza , come dicevo prima senza misura di prevenzione né di protezione. In questa situazione vi ho lavorato fino all'11 novembre del 1995. per questioni di salute sono dovuto uscire dalla fabbrica".
Sotto accusa ci sono sostanze come le ammine aromatiche, ma anche l'amianto, che secondo alcuni lavoratori era usato nell'impianto frenante dei telai (versione sempre contrastata dall'azienda). Fatto sta che, dagli anni '70 in poi, si calcola che alcune decine di operai (a seconda delle stime si oscilla tra i quaranta e i centocinquanta decessi) si siano ammalati, e poi siano deceduti, a causa di tumori alla vescica, ai polmoni, all'utero. Tumori che, è questa l'accusa, sarebbero stati provocati proprio dalle sostanze con cui si entrava in contatto in fabbrica, senza adeguate misure di prevenzione. Inoltre, lo stabilimento di Praia a Mare sarebbe anche l'origine di un colossale inquinamento della zona circostante.



Le indagini
Le prime indagini sono partite nel 1999. Intanto la Marlane aveva cambiato nuovamente proprietà ed era entrato nella galassia del gruppo Marzotto, che aveva acquistato la Lanerossi dall'Eni nel 1987. Per questo, tra gli indagati, oltre al sindaco di Praia a Mare Carlo Lomonaco (che era stato per quindici anni responsabile della tintoria a cavallo tra anni '70 e anni '80) e ad alcuni responsabili locali dello stabilimento, ci sono oggi anche alcuni dei vertici Marzotto degli ultimi quindici anni (Lorenzo Bosetti, Antonio Favrin, Jean De Jeagher, Silvano Storer e Pietro Marzotto). Da parte sua, il gruppo di Valdagno ha sempre sostenuto che, da quando è entrata in possesso della fabbrica, ha effettuato tutti gli investimenti necessari per migliorare la sicurezza delle condizioni di lavoro. Se ci anche ci fossero delle responsabilità, questa andrebbero cercate nelle gestioni precedenti. Toccherà ora al processo stabilire come sono andate le cose.



Tezze
La storia di Tezze sul Brenta e del caso Tricom Galvanica è più vicina, nello spazio e anche nel tempo. La fabbrica, realizzata dalla Junior costruzioni metalliche, nasce infatti nei primissimi anni '70, in origine come "semplice" azienda metalmeccanica. Già nel 1973, però, la ditta ottiene l'autorizzazione per costruire, in un nuovo appezzamento di terreno adiacente al nucleo di partenza, un impianto galvanico per la cromatura dei suoi prodotti, impegnandosi a rispettare precisi requisiti per la salvaguardia dell'ambiente e della salute (tra le altre cose, si assicurava la presenza dell'impianto di depurazione e il contenimento degli scarichi di cromo esavalente). Buone intenzioni che sono rimaste sulla carta. Perché gli impegni, come ha appurato la magistratura negli anni seguenti, non sono stati rispettati: i reflui della lavorazione che uscivano dalle vasche di depurazione, ad esempio, venivano scaricati nella roggia Brotta, un piccolo corso d'acqua che passava fuori dall'azienda e che correva a fianco della strada. "In sintesi - si legge nella sentenza emanata nel 2006 dal tribunale di Padova, sezione di Cittadella - in roggia Brotta sono confluiti dapprima i reflui produttivi della zona (per circa dodici anni quelli della Cromatura Zampierin - Tricom), poi le acque piovane di dilavamento dei medesimi insediamenti produttivi".



Acque sporche
Non ci volle molto per capire che qualcosa, da quelle parti, non andava. Le prime comunicazioni giudiziarie per l'inquinamento dell'acqua sono del 1977; nel 1979 la Provincia revoca alla Tricom l'autorizzazione per continuare con gli scarichi industriali, ma il Comune di Tezze, guidato all'epoca da Rocco Battistella (che al di fuori della vita politica era dipendente proprio della Tricom) concede due autorizzazioni provvisorie, e in ogni caso gli scarichi continuano anche dopo, come raccontato in un verbale dei Nas di Padova del febbraio del 1981. Per tutti gli anni '80 continuano le segnalazioni di inquinamento da cromo esavalente nell'acqua dei pozzi nei comuni a sud di Tezze come Fontaniva e Cittadella. Ma il caso riesplode solo nel 2001, quando a Cittadella si trova acqua contaminata da cromo in due pozzi e il Comune ne vieta l'utilizzo a parte della cittadinanza. Partono nuovi esposti, nuove denunce e nuove indagini, che sfociano in un processo avviato nel 2003 e conclusosi nel 2006 con una sentenza di condanna a due anni e sei mesi per avvelenamento colposo per Paolo Zampierin, il proprietario della Galvanica Pm (ex Tricom), condanna poi "condonata" dall'indulto.



La sentenza
"Anni di indagini ed infine la perizia collegiale Cozzupoli, Vergnano, Sironi - si legge sempre enlla sentenza del tribunale padovano - hanno validato l'ipotesi dell'accusa che di seguito si anticipa sinteticamente .La causa della contaminazione è stata individuata all'interno del perimetro aziendale della INDUSTRIA GALVANICA PM; il focal point si trova nel sottosuolo e nella falda sottostante tale perimetro. Il focal point è "un'enorme pastiglia" di Cr 6+ ed altri metalli pesanti (soprattutto nichel e Cr 3+) formatasi sotto l'insediamento produttivo da ultimo denominato Industria Galvanica PM, nella zona industriale di Tezze sul Brenta. Le dimensioni della "pastiglia" sono state concretamente definite solo nel 2005: è un tronco di cono di matrice ghiaiosa e sabbiosa, con la base minore rivolta verso l'alto, la cui altezza raggiunge i 22- 25 metri. [....] Questa è la spiegazione dei rilevamenti di Cr 6+ nella acque attinte da pozzi privati nei comuni di Cittadella, Fontaniva, Tezze sul Brenta".



Impianti colabrodo
E ancora, più avanti. "Venivano rilevate vistose carenze impiantistiche e comportamentali. Ad esempio, in molti casi i collegamenti tra le vasche di produzione e la rete di evacuazione delle acque da trattare verso l'impianto di depurazione erano tubazioni mobili "di tipo volante", come tali suscettibili di utilizzazione anche per NON passare attraverso il sistema di trattamento; le canalette di evacuazione in cemento non potevano accogliere reflui acidi senza corrodersi lasciando percolare soluzioni di Cr 6+ nel sottosuolo, come la verifica a impianti fermi e vasche evacuate ha confermato dapprima visivamente (sino a marzo 2004) e poi con gli esiti analitici dei carotaggi eseguiti nei punti in cui la compromissione della capacità di tenuta del substrato era visibile; v'erano una diffusa scarsa manutenzione degli impianti ed una diffusa compromissione strutturale del materiale di contenimento: le vasche (si constaterà nel 2004) "avevano un po' di buchi tappati" (pg. 140), pur apparendo visivamente a tenuta. Ancora, il sistema di captazione delle polveri emesse dalla molatura finale dei pezzi (c.d. "sistema a ciclone") era molto poco efficiente e le polveri, perciò, uscivano tramite fessurazioni in atmosfera (e tramite l'acqua piovana potevano essere uno dei possibili veicoli verso la linea di evacuazione delle acque piovane); infine lo stoccaggio di materie prime, anche tra loro incompatibili, avveniva in disordine entro il reparto produttivo".



I tumori
Il risultato è quello che oggi anche le istituzioni definiscono ormai come uno dei casi di inquinamento da cromo esavalente più rilevanti in Europa. Ma l'inquinamento delle falde acquifere è solo un aspetto della vicenda. Sempre nel 2001 sono partite anche le prime denunce da parte di parenti di persone che avevano lavorato all'interno della Tricom Galvanica e che erano morte per tumore ai polmoni, una malattia che può essere causata dall'esposizione a metalli pesanti come appunto il cromo e il nichel. L'ipotesi è che quegli operai (si parla di una quindicina di casi) si siano ammalati proprio a causa delle condizioni di lavoro all'interno della fabbrica, che sarebbero state prive delle più elementari norme di sicurezza. Secondo alcuni studi effettuati dall'Ulss 3 di Bassano, l'incidenza di questo tipo di tumori tra gli ex operai sarebbe almeno tre volte più elevata della media nazionale. Su questo sta indagando la procura di Bassano, che dal 2006 ha aperto un fascicolo di indagine per omicidio colposo plurimo, lesioni gravi, omissioni di difese e cautele contro disastri e infortuni sul lavoro e violazione delle norme per la sicurezza sul lavoro. Quattro gli indagati: Adriano Sgarbossa, Paolo Zampierin, Adriano Zampierin (tutti e tre avevano incarichi di rappresentanti e responsabili dello stabilimento) e Rocco Battistella.



No archiviazione
Nel gennaio del 2008 il pubblico ministero ha chiesto l'archiviazione del caso. Contro questa ipotesi si sono però battute le parti civili, guidate dal Comitato per la salute di Tezze sul brenta - un gruppo di cittadini che da anni segnala il problema e si batte perché venga fatta chiarezza sia sull'inquinamento, sia sulle cause dei decessi - che ha presentato delle nuove perizie. Lo stesso scenario si è ripetuto anche nel 2009, di fronte ad una seconda richiesta di archiviazione. Con successo, perché nel luglio di quest'anno il giudice per le indagini preliminari ha sostanzialmente sconfessato le perizie utilizzate fino a quel momento dalla procura(secondo cui, in sostanze, le morti erano riconducibili al vizio del fumo) ritenendole "superficiali, sbrigative e incoerenti" e ordinato nuove indagini. Il caso, insomma, è ancora aperto. "Quello che chiediamo noi - spiega Emanuele Bonin, uno degli esponenti del comitato -, è solo una cosa: giustizia per i morti. E acqua pulita per chi è rimasto: episodi del genere non devono più accadere, e questo processo può costituire un precedente importante".
Andare avanti, però non è facile. Un po' perché il movimento non ha mai trovato una sponda nella politica, se non in modo saltuario e sporadico (la leghista Mara Bizzotto aveva presentato un'interrogazione nel 2003 ed è tornata sul caso anche recentemente, l'anno scorso si erano mossi alcuni parlamentari dell'Italia dei Valori; ma tutto si è fermato lì). Un pò perché, anche da parte della stessa cittadinanza, l'atteggiamento prevalente è l'indifferenza, quando non il distacco. All'ultimo incontro con i familiari delle vittime, convocato dal Comitato in proprio vista del proseguimento delle indagini, si è presentata una sola delle persone coinvolte. "Una volta c'era il timore di perdere il lavoro - spiega Bonin -. Adesso è come se certi traumi fossero ormai metabolizzati, e non se ne volesse più parlare".



La testimonianza
Così il tutto viene portato avanti da quei pochi che hanno accettato di esporsi. Come Silvio Bonan, che nel libro Morti Bianche scritto da Samanta Persio raccontava così la vicenda di suo padre: "Mio padre ha lavorato quasi trent'anni presso la Tricom, nel reparto di cromatura. Prima di lui sono deceduti altri colleghi, una ventina. Avevano cominciato tutti allo stesso modo, un po' di tosse, sangue dal naso. Ma mio padre pensava di salvarsi in tempo. Non faceva altro che ripetere: "Non vedo l'ora di andare in pensione!". Era convinto che andando via da quel posto sarebbe stato salvo. Però le cose sono andate diversamente..... Ho iniziato a raccogliere testimonianze di colleghi operai, a chiedere analisi ed è iniziata una causa dove la mia famiglia si è costituita parte civile. Ho fatto diversi sopralluoghi. Mi sono reso conto che i reparti non erano separati tra di loro: in un unico stanzone c'era il reparto di imballaggio, di cromatura, di verniciatura, di pulitura, ecc. Chiunque poteva ammalarsi, nessuno utilizzava guanti, mascherine, non c'erano sistemi di protezione....Oltre al cromo esavalente e al nichel sono stati trovati ben sette tipi di cianuro, piombo, soda, e composti, acido cianurico....Dalle vasche, dove avveniva la cromatura, saliva una nebbia persistente. L'intera area lavorativa era un bagno di cromo esavalente, l'operaio camminava in una fanghiglia, il pavimento in cemento era stato corroso e i veleni sono filtrati nel terreno inquinando persino le falde acquifere....Oggi la mia famiglia, insieme a poche altre, porta avanti questa battaglia per veder riconosciuto il danno ai nostri cari. Purtroppo non riceviamo molta solidarietà, né dall'opinione pubblica, né dai giudici che vogliono archiviare il nostro caso".
Rispetto a quando rilasciava queste parole la partita sembra essersi riaperta. E anche i giudici sembrano più intenzionati a fare chiarezza.

giovedì 10 dicembre 2009

PRIMA CENTRALE NUCLEARE AL NORD


Il dossier porta alla Regione Veneto

L’ipotesi di realizzare un sito nell’area del Polesine, vicino a Chioggia

ROMA — «Se potessi scegliere dove mettere una centrale nucleare me la metterei nel giardino di casa». Parola di Claudio Scajola. Peccato che la casa del ministro dello Sviluppo economico si trovi in Liguria, regione che non avrebbe neanche un centimetro quadrato idoneo a ospitare un impianto atomico. Figuriamoci un giardino. Per giunta la Liguria, governata dal centrosinistra, è una delle dieci Regioni che hanno fatto ricorso alla Consulta contro la legge 99 con la quale il governo ha riaperto la strada al nucleare. Una iniziativa che, visti i precedenti, può rappresentare un ostacolo serissimo a tutta l’operazione. Intanto il tempo passa. Ed è sempre più vicina la scadenza del 15 febbraio, data entro cui dovrebbero essere pronti i quattro provvedimenti del governo necessari per poter costruire le nuove centrali. Serve una delibera del Cipe che dirà quali tecnologie si potranno impiegare, e probabilmente saranno ammesse tanto la francese (Epr) che l’americana (Ap 1000). Serve un decreto che dica dove si farà il deposito delle scorie, ed è un problema mica da ridere. Serve un decreto per decidere le compensazioni economiche per gli enti locali che accoglieranno gli impianti. Serve, soprattutto, il decreto sulle localizzazioni: un provvedimento che stabilirà non dove si possono fare, ma dove «non» si possono fare le centrali. Sulla base di questa mappa «al negativo», l’Enel e chi altro vorrà realizzare un impianto avanzerà proposte all’Agenzia per la sicurezza nucleare. Che dovrà dire sì o no.

Soltanto a quel punto si potrà avere l’elenco dei siti. Da mesi circolano tuttavia presunte liste nelle quali figurano i luoghi dove erano già presenti i vecchi impianti. Oppure dove era stata avviata la costruzione di centrali quando, nel 1987, il referendum antinucleare bloccò tutto. Il quotidiano Mf ha rilanciato ieri i nomi di Trino vercellese, Caorso, Montalto di Castro, Latina e Garigliano: quelli di 22 anni fa. E sempre ieri il presidente dei Verdi Angelo Bonelli ha rivelato la dislocazione dei siti a sua conoscenza. Quali sarebbero? Gli stessi, più Oristano, Palma (in Sicilia, Agrigento) e Monfalcone. Località considerate idonee da trent’anni. Risale infatti al 1979 la mappa elaborata dal Cnen sulla base di alcuni parametri come il rischio sismico, la presenza dell’acqua, il tasso di urbanizzazione, l’esistenza di infrastrutture. Parametri che da allora possono essere anche molto cambiati. La portata idrica del Po, per esempio, non è più quella del 1979. Molte aree poco urbanizzate sono oggi iperabitate. E anche la carta del rischio sismico, con il progresso delle tecniche d’indagine, potrebbe riservare tante sorprese. Senza considerare che la scelta dei siti «idonei » non spetta formalmente all’Enel, che può soltanto proporli, ma all’Agenzia per la sicurezza nucleare che ancora dev’essere costituita. Non che qualche idea non ci sia già. Per esempio, un orientamento «politico» di fondo del governo: realizzare al Nord la prima delle quattro centrali previste dal piano. Dove, è difficile dire. Com’è comprensibile, nessuno parla: adducendo come motivazione la circostanza che la mappa del 1979 è in fase di aggiornamento. Ma si sa, per esempio, che l’area non dovrebbe coincidere con quelle che hanno già ospitato un vecchio impianto atomico e questo porterebbe a escludere Caorso e Trino. Se il sito in questione dev’essere poi in prossimità del mare, a causa delle sofferenze del Po, allora la ricerca si restringe. C’è la Toscana settentrionale con l’area di Cecina, città natale del ministro nuclearista Altero Matteoli, ma la regione è governata dal centrosinistra e ha già fatto ricorso contro la legge Scajola: la battaglia sarebbe durissima. Nella mappa dei siti possibili figura anche l’isola di Pianosa, ma oltre ai problemi di cui sopra ci sarebbe la controindicazione del costo esagerato. Minori difficoltà esisterebbero per la costa adriatica, in particolare quella Friuli Venezia Giulia e il delta del Po. Ma se la zona di Monfalcone è abbastanza congestionata, il Polesine, area a una trentina di chilometri da Chioggia, lo è molto meno. Va ricordato che a favore della localizzazione di una centrale atomica in Veneto si era già espresso il governatore Giancarlo Galan (uno dei pochi a non aver fatto ricorso alla Consulta) con riferimento alla conversione a carbone di Porto Tolle. Ovviamente contestato dagli ambientalisti.

Per ora, comunque, restiamo agli indizi. L’Agenzia, che ha potere decisionale, non è ancora nata. Da settimane si attende la nomina dei suoi vertici: per la presidenza sarebbe ora in pole position il settantenne Maurizio Cumo, ex presidente della Sogin. Irrisolta resta anche la questione dei finanziamenti. L’Agenzia dovrebbe avere un centinaio di dipendenti ma non una lira in più delle risorse già esistenti. Un emendamento alla finanziaria che le destinava 3 milioni di euro è stato bocciato in extremis dal Tesoro. E non si sa nemmeno dove avrà sede. Il ligure Scajola preme per Genova, mentre il suo collega veneziano Renato Brunetta, che deve dare il proprio parere, punterebbe Slitta a dopo il voto la scadenza del 15 febbraio per i siti su Venezia.

Per non parlare degli altri problemi politici. Il primo di tutti: le prossime elezioni regionali. Una scadenza troppo importante per non far scivolare a una data successiva la presentazione dei decreti del governo, prevista entro il 15 febbraio. Alla luce di quello che sta accadendo, spiegano al ministero, quel termine dev’essere considerato soltanto «ordinatorio». Se ne parlerà magari in aprile, se non a maggio. E ci sarà anche più tempo per risolvere il problema delle scorie. Se la prima centrale dovrebbe essere fatta al Nord, sembra garantito che il deposito delle scorie sarà al Sud. A quanto pare non più nel sottosuolo, ma in superficie. Contando su una reazione più blanda delle popolazioni coinvolte. Già. Ricordate Scanzano Jonico?

Sergio Rizzo
09 dicembre 2009

articolo tratto da www.corriere.it

mercoledì 25 novembre 2009

ARIA CITTA' ITALIANE ANCORA MALATA E A BASSANO?


Questo breve articolo dell'ANSA rivela che l'aria delle città italiane è ancora malata e che l'inquinamento continua a far ammalare e morire.

Com'è e come sarà la situazione a Bassano del Grappa, sopratutto lungo la statale 47 vista l'apertura di continui centri commerciali?



(ANSA) - ROMA, 25 NOV - Sempre malata. Talvolta letale. E' l'aria che respirano milioni di italiani nelle maggiori citta' della Penisola. Dopo anni di allarmi e di multe delle autorita' Ue, in Italia di inquinamento ci si continua ad ammalare e a morire. E' la foto scattata da EpiAir-Inquinamento atmosferico e salute, sugli effetti a breve termine di Pm10, NO2 e ozono nel periodo 2001-2005 in 10 citta' italiane.

lunedì 16 novembre 2009

PEDEMONTANA: CHE MACELLO


Allora, sembra che vogliano farla sul serio la Pedemontana, anzi l'Autostrada. Ma su queste cose hanno sempre fatto sul serio.

Vogliono fare un bel macello, fare tanti soldi sfruttando la natura e l'ambiente che è di tutti. L'aria non è di nessuno, quindi è loro. La terra e il sottosuolo, le falde acquifere, le piante e gli animali non hanno partiti che li proteggono, né TV private, né santi in Parlamento. Quindi., giù che è tardi. E' una vecchia storia, lo sapevano già Toro Seduto e Cavallo Pazzo ai tempi della Grande Prateria. Solo che questa volta non è per il 'progresso' ma per la 'palanca'. "E' lo 'sviluppo', baby".
Tutti saranno contenti, leghisti, berlusconiani, e anche il PD che per la maggior parte non l'ha osteggiata ma anzi l'ha voluta. Quelli che vogliono cambiare l'Italia e il Veneto!
Gli unici che ben presto si accorgeranno di cosa si tratta saranno i cittadini dove questa strada passerà. Cemento, asfalto, ancora asfalto e cemento. Gas di scarico, rumore, inquinamento, traffico. Altro che Copenhagen e Kyoto.
Altro che 'sviluppo sostenibile'! Altro che salvare il Pianeta. Quello è secondario, l'importante è salvare le tasche dei soliti. C'è la crisi, che poi è provocata proprio anche dall'esaurimento delle risorse naturali.

lunedì 9 novembre 2009

MOBILITIAMOCI CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA



Campagna nazionale "SALVA L’ACQUA"

Importante iniziativa contro le nuove norme del governo che privatizzano l'acqua.

Il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua lancia una campagna contro i recenti provvedimenti governativi volti alla privatizzazione dell’acqua



Con un decreto del 10 settembre scorso (D.L. 135/09, Art. 15) il Governo regala l’acqua ai privati: sottrae ai cittadini l’acqua potabile, il bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati.
Entro il prossimo 24 novembre, il decreto che privatizza l’acqua potrebbe diventare legge.
Si tratta della definitiva mercificazione di un bene essenziale alla vita

Si tratta della definitiva consegna al mercato di un diritto umano universale
Si tratta di un provvedimento inaccettabile!
IMPEDIAMOLO !
FIRMA L’APPELLO ON-LINE: CAMPAGNA NAZIONALE “SALVA L’ACQUA” - IL GOVERNO PRIVATIZZA L’ ACQUA!

10 Novembre mailbombing su componenti Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati

Il Senato, il 04 Novembre, ha approvato l’Art.15 del DL 135/09.
Tale provvedimento approderà alla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati il 10 Novembre.
Se convertito in legge, il DL 135/09, sottrarrà ai cittadini ed alla sovranità delle Regioni e dei Comuni l’acqua potabile di rubinetto.
Noi pensiamo che sia un epilogo da scongiurare, sia per un concetto inviolabile che annovera l’acqua come un diritto universale e non come merce, ma anche per le ripercussioni disastrose che una privatizzazione potrebbe generare sui cittadini in funzione della crescita delle tariffe.
Pertanto, alla luce di quanto sopra, della conclusione dell’esame presso il Senato e in previsione della discussione di tale provvedimento alla Camera dei Deputati (inizio previsto per il 16 Novembre),
chiediamo ai Deputati della Commissione Affari Costituzionali

- di esprimersi per il ritiro delle nuove norme che privatizzano l’acqua;

- di sostenere gli emendamenti finalizzati ad escludere il servizio idrico dai servizi pubblici locali di rilevanza economica;

- di sostenere, nel corso del dibattito in Assemblea al Senato, le proposte avanzate dal Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua.

Affinchè il mailbombing sortisca effetto, è importante che l’invio delle mail sia realizzato contemporaneamente dal maggior numero di persone possibili, pertanto

concentriamoci tutti sulla giornata di martedì 10 Novembre
Accedi qui per scaricare il testo della mail e l’indirizzario a cui inviarla




Protesta contro questa decisione del Governo tramite interlocuzioni con i parlamentari ed invio di e-mail al Ministro dell’Ambiente, ai vari Ministri e parlamentari.

Chiedi al tuo Consiglio Comunale di prendere posizione contro questo decreto che dichiara l’acqua potabile una merce ed avvia una campagna - anche attraverso una raccolta di firme - per impegnare il consiglio comunale ad inserire nello Statuto Comunale il riconoscimento che l’acqua è “un bene comune e un diritto umano universale” e che il servizio idrico è “un servizio privo di rilevanza economica” da gestire in forma pubblica e con la partecipazione delle comunità locali. ---> Scarica la petizione popolare contro l’Artt. 15 e 23 bis e organizza banchetti di raccolta firme

Sostieni le azioni proposte dal Forum italiano dei Movimenti per l’acqua per chiedere al Parlamento ed al Governo il ritiro delle nuove norme.

Per approfondimenti vai al sito http://www.acquabenecomune.org/

domenica 1 novembre 2009

PEDEMONTANA: INQUINAMENTO E CEMENTIFICAZIONE AVANTI TUTTA


Parafrasando il titolo di un articolo apparso su un quotidiano locale, possiamo ben definire quale sarà il futuro per chi abita nel territorio bassanese con la costruzione dell'Autostrada Pedemontana ormai in fase di avvio: aumento del traffico,inquinamento da polveri sottili e acustico, distruzione del territorio ecc.

Questa opera così come è stata progettata non è al servizio del territorio ma dei flussi commerciali e dei Tir che porteranno il loro carico di inquinamento nel nostro martoriato territorio già molto trafficato.

Che non sia al servizio del territorio lo dimostrano le affermazioni del presidente provinciale dell'Ordine degli Ingegneri Antonio Schillaci: "Ogni volta che si realizza un'opera ci sono interessi locali che si trovano a soffrire e interessi generali che sono superiori a quelli locali", con buona pace del federalismo tanto decantato da alcune forze politiche.

Purtroppo, gli interessi generali sono di quelli che continuano a portare avanti a tutti i costi questo modello di sviluppo che ha fatto sì che il Veneto sia una regione dove esiste un piano casa continuo e un'incessante costruzione di opere stradali che sta cementificando senza sosta tutto il territorio, con le conseguenze che tutti vediamo e alla faccia dei problemi ambientali che stanno causando anche a livello locale i cambiamenti climatici.

giovedì 29 ottobre 2009

TRA CENTRI COMMERCIALI, FUTURA PEDEMONTANA E TRAFFICO


L'incontro tra i sindaci e i commercianti di cui si è parlato nei giornali locali, sui futuri centri commerciali ci fà vedere che l'invivibilità, la cementificazione e l'inquinamento, saranno sempre maggiori nel nostro territorio.

La continua cementificazionie che sta avvenendo lungo la statale 47, con la costruzione di continui centri commerciali e direzionali, porterà al collasso della viabilità. Quindi per far fronte a questo, viene sollecitata la costruzione della Pedemontana nonchè di altre bretelle con ulteriore cementificazione, aumento del traffico e dell'inquinamento.

Erano proprio utili tutti questi centri commerciali? Da questo risulta sempre più necessario chiedere lo STOP AL CONSUMO DEL SUOLO.




Articolo del Giornale di Vicenza.

Avviare al più presto i lavori per la Pedemontana, realizzare la bretella di Fontaniva, potenziare il trasporto su rotaia e superare le logiche di campanile per costruire assieme una viabilità sostenibile per il territorio. Nell'imminenza dell'apertura del futuro centro commerciale Eurobrico, prevista per il prossimo 24 novembre, e dell'attivazione lungo la statale 47 di un'enorme quantità di metri quadri commerciali e direzionali, l'Unione del commercio torna ad affrontare il tema della viabilità.
La presidentessa dell'Umce Teresa Cadore e il suo vice Paolo Lunardi hanno riunito attorno ad un tavolo gli amministratori di Bassano, di Rosà, Cassola e Romano per fare il punto sulla situazione e per concertare una serie di interventi tesi ad evitare il collasso sull'asse viario nord-sud e il cosiddetto "effetto - tappo", ossia un blocco del flusso veicolare diretto verso il centro storico, che rischierebbe così di restare totalmente isolato.
Da tempo, d'altro canto, i commercianti insistono sull'inadeguatezza dell'assetto viario dell'area a sud est di Bassano rispetto alla concentrazione di colossi commerciali previsti in quella zona e la stessa Valutazione d'impatto ambientale elaborata in funzione della nuova struttura destinata ad aprire presto i battenti in via Capitelvecchio stima che per il traffico proveniente da Rosà la saturazione sarà superiore al 40 per cento rispetto alla capacità della nuova rotatoria e che potrebbero formarsi code della lunghezza di 250 metri. Una situazione insostenibile anche dal punto di vista emotivo e psicologico per tutti gli automobilisti, sottoposti ad un forte stress da traffico.
Per questo, già da settembre l'Umce ha invitato primi cittadini dei Comuni interessati a chiarire quali soluzioni siano in progetto sul lungo periodo e quali strategie si possano invece mettere in atto sin da subito per scongiurare ingorghi, code e soprattutto l'isolamento di Bassano da Padova e da Treviso. A Rosà, hanno rilevato Cadore e il direttore dell'Umce Riccardo Celeghin, si rischia che comincino a formarsi terribili intasamenti.
«L'unica soluzione - spiegano - sarebbe la realizzazione di una bretella che, partendo da Limena e attraversando Fontaniva, si congiunga con la Pedemontana. Una strada parallela al tradizionale asse sud-nord che è già sulla carta ma che, per i veti imposti dai Comuni toccati dal tracciato, probabilmente non verrà costruita prima di dieci anni».
«Vista la vicinanza delle prossime elezioni regionali - ha proseguito la portavoce dei commercianti - confidiamo invece che la Superstrada Pedemontana parta entro il prossimo anno».
Tra dodici mesi esatti invece, a quanto ha assicurato ai vertici dell'Umce il sindaco cassolese Silvia Pasinato, prenderanno avvio i lavori per la costruzione di un sistema stradale sviluppato su 5 rotonde che, partendo dai due rondò di prossima realizzazione in zona Boscardin e in zona Fiat, permetterà un più snello deflusso in uscita verso est, nell'area del Parco commerciale 47.
Nel frattempo, però, gli automobilisti dovranno accontentarsi dell'assetto viario esistente e sperare che vengano messi in atto quegli interventi d'emergenza allo studio degli uffici tecnici di Bassano e di Cassola. In particolare le due municipalità propongono, in caso di estrema congestione, di far deviare il flusso delle auto in arrivo da Padova verso ovest, sfruttando viale De Gasperi e via Colombo. I commercianti confidano infine in un decisivo potenziamento della linea ferroviaria che attualmente, ha stigmatizzato Cadore, si trova in uno stato simile a quello dell'anteguerra.
«Ci stiamo occupando di questi temi non solo come rappresentanti sindacali - ha concluso la presidentessa - ma perché le grandi scelte urbanistiche riguardano tutti. Il nostro non è un territorio fatto di diversi paesi ma un comprensorio da osservare nella sua interezza». [FIRMA]
Caterina Zarpellon

giovedì 22 ottobre 2009

IL SISTEMA CHIUSO DEL PROJECT FINANCING IN VENETO


Un interessante articolo tratto da Carta Est Nord

La decisione degli assessori Donazzan e Giorgetti di astenersi sulla proposta di project financing per la realizzazione della superstrada a pagamento della Valsugana, nella Giunta Regionale di martedì 4 agosto 2009, può costituire una buona occasione per una riflessione generale che da tempo richiediamo alla politica regionale.



L’accusa, nemmeno tanto velata, riportata dalla stampa regionale, è: lavorano sempre i soliti.

Sarebbe cosa utile per tutta l’opinione pubblica veneta e italiana stampare l’elenco delle principali commesse pubbliche, o di società a partecipazione pubblica, realizzate negli ultimi quindici anni in Regione per valutare in maniera obiettiva la situazione.

Lavorano sempre i soliti perché il sistema è chiuso ed è un sistema oliato e perfetto nelle sue dinamiche finanziarie, economiche e sociali.

Le “solite”grandi imprese regionali sono in condizione di proporre e realizzare grandi opere infrastrutturali grazie a buoni rapporti con i decisori politici e una adeguata disponibilità di finanziamenti bancari.

Alla fine un sistema chiuso di comportamenti economici e sociali.



Il vizio di questo sistema sta a monte e qualora si decida di modificarlo bisogna invertire i fattori della decisione politica.

In questi anni moltissime decisioni sulle infrastrutture sono state discusse, proposte e assunte nei piani alti delle società di costruzioni, avvallate dalle associazioni di rappresentanza delle aziende, avanzate attraverso una martellante campagna mediatica, infine fatte proprie dal potere politico.

Le aziende fanno il loro interesse e mestiere. Nessuno dotato di senno può chiedere loro di votare per fare altro rispetto alla ragione economica e sociale che è costruire infrastrutture.



Bisogna riportare al centro del dibattito regionale, con lealtà e coraggio, le seguenti priorità:



La programmazione regionale. In questi anni la programmazione regionale è sparita. Il piano regionale dei trasporti è fermo al 1990. Nel contempo, nell’attesa del nuovo PTRC, si sono progettati, in particolare modo da parte delle società autostradali, numerose strade a pagamento con l’utilizzo della finanza di progetto. Sarebbe indispensabile che il Consiglio Regionale affronti questa questione in modo chiaro e trasparente, definisca le priorità infrastrutturali, la pianificazione territoriale in accordo con le amministrazioni locali regionali e le parti sociali, selezioni i bisogni reali, indichi bandi per l’aggiudicazione di opere da realizzare con finanza di progetto.

Alla fine sarebbe indispensabile che fosse la Regione a fissare l’agenda dei lavori e non le società di costruzione, come è capitato per gli ospedali e le strade.



Il pagamento dell’opera. L’uso dello strumento della finanza di progetto andrebbe utilizzato in modo selettivo da parte della Regione per evitare che si attacchi il principio della lealtà fiscale del cittadino verso la sussidiarietà statale. Il cittadino paga le tasse e in cambio ha il diritto di ricevere servizi adeguati e dignitosi secondo il livello di contribuzione versato. In Veneto le cose stanno così: le rimesse statali sono scarse; il federalismo è cosa vuota; la disparità di trattamento con altre Regioni italiane è evidente; le nuove opere stradali sono ormai tutte realizzate in finanza di progetto. Alla fine il cittadino paga le tasse previste e raddoppia la lauta paga alle società autostradali per consentire i piani di rientro di sostenibilità economica delle opere.



Il rischio d’impresa scaricato sull’utente. Le nuove strade sono pagate dai flussi di traffico veicolare. Tariffe alte come nel caso del Passante di Mestre. Se poi non bastassero le rimesse per la sostenibilità economica dell’opera si aggiustano verso l’alto le tariffe in accordo con la società di gestione, o si creano le condizioni per incrementare la saturazione della strada attraverso la costruzione di nuovi insediamenti economici e sociali lungo l’arteria. Alla fine si dovrebbe, dopo i vent’anni di tariffe alte servite per ripagare l’opera rivedere in riduzione le tariffe del pedaggio. Nemmeno questo: è già pronto un nuovo piano di opere da finanziare perché il business non si interrompa.



Buone opere, non solo grandi opere. Le società interessate hanno sempre nuove grandi opere in cassetto da proporre al sistema. Le grandi opere sono tutte prioritarie ed indispensabili? La contraddizione scoppiata tra Valdastico Nord e Valsugana è il paradigma di questa confusione infrastrutturale.

E’ possibile che alla nostra Regione serva qualche grande opera in meno e al suo posto un migliaio di piccole buone opere che favoriscano invece la competizione e la risoluzione dei tanti punti critici della mobilità di merci e persone.



Separare le funzioni e ridurre le società. Nelle società autostradali sarebbe opportuno porsi il problema della discutibile situazione in cui i controllori dell’interesse pubblico (amministratori locali) svolgono contemporaneamente il compito di gestori. La funzione di indirizzo e controllo andrebbe anche fisicamente separata dalla gestione. Infine sei società autostradali nella tratta più remunerativa d’Italia appaiono un costo, a maggior ragione in tempi di crisi, difficilmente sostenibile per le famiglie e le persone della nostra regione.



La rendita: soldi sottratti all’apparato manifatturiero. Il finanziamento di progetto di grandi opere come le strade a pagamento è un investimento buono e sicuro. Questo spiega l’attuale proliferazione dei progetti di nuove strade a pagamento in tutta la Regione. Possibile che non ci si interroghi adeguatamente sul fatto che da un lato si tratta di risorse finalizzate alla rendita nel mentre in tempi di crisi come quelli attuali si dovrebbero orientare le scarse risorse verso il sostegno alla innovazione e ricerca del sistema produttivo regionale e dall’altro contemporaneamente si riduce la capacità di reddito del cittadino. Il costo del pedaggio autostradale, considerati gli aumenti 2008/2009 sulla tratta

Padova – Venezia alla fine vale per un pendolare il 10% dello stipendio mensile.



Piano generale dei trasporti, non solo strade. Il ritardo infrastrutturale della nostra Regione, rispetto alle altre regioni italiane e europee, è necessario sia colmato. Si tratta di realizzare anche strade ma l’attenzione della politica regionale non può essere unicamente rivolta alle strade a pagamento. Facciamo come le Regioni vicine (Trentino, Alto Adige, Lombardia, Friuli) che stanno investendo in maniera decisa sulla ferrovia ( potenziamento della rete, apertura nuove linee ferroviarie, avvio di società regionali opportunamente finanziate, sostegno logistico al trasporto cargo,deciso sviluppo della intermodalità) e per tale iniziativa rispettano l’ambiente, riducono il consumo di territorio per nuove strade e migliorano le condizioni di vivibilità delle persone.
Diamo corso alle scelte infrastrutturali e gestionali riguardanti ferrovia e porti per offrire un servizio logistico articolato ed equilibrato sulle possibili alternative al solo trasporto su gomma.

domenica 11 ottobre 2009

STOP AL CONSUMO DEL TERRITORIO BASSANESE

Stop al Consumo di Territorio
www.stopalconsumoditerritorio.it





I nostri paesi, ormai, di verde in pianura nè hanno ben poco e si continua ancora a cementificare e a costruire, basta vedere Cassola, il nuovo progetto di area industriale e produttiva a Pove del Grappa, le zone residenziali che si stanno costruendo a Bassano del Grappa ecc....

Sarebbe ora che iniziasse anche nel nostro territorio un movimento di persone dal basso che spinga i nostri amministratori a cambiare rotta per porre un freno a questa cementificazione.

A questo riguardo, mi sembrava interessante inserire nel blog il Manifesto Nazionale del Movimento Stop al Consumo di Territorio.


MANIFESTO NAZIONALE



Il consumo di territorio nell’ultimo decennio ha assunto proporzioni preoccupanti e una estensione devastante. Negli ultimi vent’anni, il nostro Paese ha cavalcato una urbanizzazione ampia, rapida e violenta. Le aree destinate a edilizia privata, le zone artigianali, commerciali e industriali con relativi svincoli e rotonde si sono moltiplicate ed hanno fatto da traino a nuove grandi opere infrastrutturali (autostrade, tangenziali, alta velocità, ecc.).


Soltanto negli ultimi 15 anni circa tre milioni di ettari, un tempo agricoli, sono stati asfaltati e/o cementificati. Questo consumo di suolo sovente si è trasformato in puro spreco, con decine di migliaia di capannoni vuoti e case sfitte: suolo sottratto all’agricoltura, terreno che ha cessato di produrre vera ricchezza. La sua cementificazione riscalda il pianeta, pone problemi crescenti al rifornimento delle falde idriche e non reca più alcun beneficio, né sull’occupazione né sulla qualità della vita dei cittadini.


Questa crescita senza limiti considera il territorio una risorsa inesauribile, la sua tutela e salvaguardia risultano subordinate ad interessi finanziari sovente speculativi: un circolo vizioso che, se non interrotto, continuerà a portare al collasso intere zone e regioni urbane. Un meccanismo deleterio che permette la svendita di un patrimonio collettivo ed esauribile come il suolo, per finanziare i servizi pubblici ai cittadini (monetizzazione del territorio).


Tutto ciò porta da una parte allo svuotamento di molti centri storici e dall’altra all’aumento di nuovi residenti in nuovi spazi e nuove attività, che significano a loro volta nuove domande di servizi e così via all’infinito, con effetti alla lunga devastanti. Dando vita a quella che si può definire la “città continua”. Dove esistevano paesi, comuni, identità municipali, oggi troviamo immense periferie urbane, quartieri dormitorio e senza anima: una “conurbazione” ormai completa per molte aree del paese.


Ma i legislatori e gli amministratori possono fare scelte diverse, seguire strade alternative? Sì!

Quelle che risiedono in una politica urbanistica ispirata al principio del risparmio di suolo e alla cosiddetta “crescita zero”, quelle che portano ad indirizzare il comparto edile sulla ricostruzione e ristrutturazione energetica del patrimonio edilizio esistente.


Il movimento di opinione per lo STOP AL CONSUMO DI TERRITORIO e i firmatari individuano 6 principali motivi a sostegno della presente campagna nazionale di raccolta firme.
STOP: PERCHÉ?


1. Perché il suolo ancora non cementificato non sia più utilizzato come “moneta corrente” per i bilanci comunali.

2. Perché si cambi strategia nella politica urbanistica: con l’attuale trend in meno di 50 anni buona parte delle zone del Paese rimaste naturali saranno completamente urbanizzate e conurbate.

3. Perché occorre ripristinare un corretto equilibrio tra Uomo ed Ambiente sia dal punto di vista della sostenibilità (impronta ecologica) che dal punto di vista paesaggistico.

4. Perché il suolo di una comunità è una risorsa insostituibile perché il terreno e le piante che vi crescono catturano l’anidride carbonica, per il drenaggio delle acque, per la frescura che rilascia d’estate, per le coltivazioni, ecc.

5. Per senso di responsabilità verso le future generazioni.

6. Per offrire a cittadini, legislatori ed amministratori una traccia su cui lavorare insieme e rendere evidente una via alternativa all’attuale modello di società.

lunedì 28 settembre 2009

APPELLO


MOBILITIAMOCI ANCHE NEI NOSTRI TERRITORI PER IL CLIMA

Ai primi di dicembre del 2009 si terrà a Copenhagen, in Danimarca la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima.
Gli scienziati affermano che i cambiamenti climatici potranno avere conseguenze devastanti per gli esseri umani, per gli animali e per la vita del pianeta e purtroppo questi Vertici come è già stato dimostrato di solito producono molto poco.

Perciò nel mondo sono già iniziate e continueranno fino a dicembre le mobilitazioni per chiedere una concreta politica di taglio delle emissioni di gas serra.

Mentre anche nel nostro territorio sono sempre più evidenti i segnali che il clima sta cambiando (quest’estate è stata significativa), assistiamo invece che nella nostra regione le politiche contro i cambiamenti climatici sono praticamente inesistenti.

Nel territorio bassanese ci sono e ci saranno poi una serie di situazioni che invece di aiutare il clima contribuiranno all’aumento dell’effetto serra (Autostrada Pedemontana, cave, continua cementificazione, ecc…).

Perciò facciamo appello ai comitati, associazioni, singole persone, ecc… per trovarsi e organizzare in questi due mesi prima degli inizi del vertice una serie di iniziative di informazione e di protesta anche nel bassanese per contribuire tutti quanti a salvare il pianeta, il nostro territorio e il nostro futuro prima che sia troppo tardi.

COPENHAGEN 2009, MOBILITIAMOCI PER IL CLIMA ORA





Il 30 novembre 2009 i governi del mondo si riuniranno a Copenhagen per la quindicesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Sarà il più grande vertice sul cambiamento climatico di sempre perché si dovrà decidere se tentare di risolvere il problema o proseguire sull’inconcludente linea di Bali (il vertice precedente).

I risultati fin qui ottenuti sono stati scarsissimi perché sostanzialmente si è deciso di andare avanti - a parte le vuote dichiarazioni d’intenti - sul modello “business as usual”.

Cosa significa andare avanti con il modello “business as usual”? Significa non fare assolutamente niente e portare il pianeta sull’orlo del collasso. Secondo gli scienziati britannici del Met Office infatti seguendo questa strada ci sarebbe un innalzamento delle temperature medie globali di 5,5-7,1 gradi centigradi entro il 2100.

Tanto per capirci con un innalzamento di soli 4 gradi un quinto delle specie animali sarebbero a rischio estinzione e 1-2 miliardi di persone patirebbero la scarsità d’acqua. Non solo, le piante e il suolo ridurrebbero drasticamente la quantità di carbonio assorbito, e il metano rilasciato dal permafrost e lo scioglimento dei ghiacci accelererebbero ulteriormente questi processi.

Cosa dicono gli scienziati britannici? Semplice, bisogna iniziare ad agire a partire dal 2010 “early and fast”, presto e velocemente, altrimenti non saremmo in grado di limitare i danni, ovvero mantenere l’aumento delle temperature entro il limite sopportabile di 2 gradi.

Per questo Copenhagen rappresenterà un momento cruciale da questo punto di vista: significherà decidere concretamente il nostro futuro.

martedì 22 settembre 2009

IL PROGETTO DI CEMENTIFICAZIONE DELLA PIANA DI MARCESINA


Note relative al progetto preliminare relativo a: valorizzazione turistica ambientale e naturalistica dell’area transfrontaliera della piana di Marcesina in Comune di Enego VI

Premesso che in data 04.07.2007 a Recoaro Terme (VI) tra la Regione Veneto e la Provincia Autonoma di Trento è stata sottoscritta una intesa per migliorare l’esercizio delle funzioni amministrative inerenti i settori dello sviluppo locale, della sanità, della cultura, dell’alta formazione, dell’istruzione e della formazione, delle infrastrutture e reti di trasporto.
L’atto di intesa è stato ratificato dalla Regione Veneto con Legge Regionale n. 31 del 26.10.2007 e dalla Provincia Autonoma di Trento con Legge Provinciale n. 21 del 16.11.2007.
La Regione Veneto con delibera della Giunta Regionale n. 1655 del 24.06.2008 ha approvato il programma triennale degli interventi, nel quale per l’anno 2009 è inserito il Comune di Enego per un progetto denominato “valorizzazione turistica ambientale e naturalistica dell’area transfrontaliera della Piana di Marcesina” per un importo complessivo di € 3.500.000,00 Detto progetto è cofinanziato dal Comune di Enego per l’importo di € 87.500,00 pari al 2,5% del costo totale dell’opera.
Il Comune di Enego con delibera di Giunta n. 65 del 26.08.2008 ha approvato il progetto preliminare, il quale, riassumendo prevede quanto segue:
- Realizzazione di n. 9 aree di soste per n. 840 autovetture e n. 50 piazzole per camper, oltre alla realizzazione di focolari, tavoli e servizi igienici per pic-nic. L’area complessiva interessata dai parcheggi è di mq. 36.600. Le aree saranno dotate di parchimetri a pagamento.
- Il progetto prevede altresì l’allestimento di un sito museale della grande guerra sul forte Lisser, interventi sulla viabilità esistente e la sistemazione di una casetta forestale di proprietà comunale.
La piana di Marcesina, situata a quota 1.350 s.l.m. è stata dichiarata di notevole interesse pubblico con decreto ministeriale dei Beni Culturali e Ambientali in data 1 agosto 1985;
L’area fa parte della rete natura 2000 di cui alle direttive 79/409/CEE, 92/43/CEE, zona SIC recepita con delibera della Giunta Regionale Veneta n. 448 del 21.02.2003 – IT3220036 Altopiano dei Sette Comuni. L’area inoltre è gravata dal diritto di uso civico.
La previsione progettuale per realizzare i posti macchina e camper non si basa su alcuna rilevazione statistica circa l’afflusso di autovetture nella Piana, non esiste una analisi sulle reali capacità del territorio di supportare una così notevole massa di turisti, col rischio fondato di pregiudicare l’ambiente forestale, il sistema floristico e faunistico. Nella Piana esistono due torbiere, le quali sono state oggetto di studi approfonditi da parte di studiosi qualificati, i quali hanno messo in risalto la presenza di rarissi-me specie vegetali, e hanno consigliato l’adozione di protezioni adeguate, quali recinzioni e passaggi obbligati al fine di salvaguardare la loro tipicità. Attualmente le due aree sono pressoché abbandonate, prive di recinzioni e adeguata segnaletica, e nemmeno con Il progetto appena approvato è previsto alcun intervento, e ciò in palese contrasto con il titolo dell’opera finanziata, la quale fa chiaro riferimento alla “valorizzazione naturalistica dell’area”. Per valorizzazione naturalistica, l’amministrazione che ha approvato il progetto preliminare, considera “ consapevolmente” la creazione di aree adibite a parcheggio.
Va comunque segnalato che l’iter per l’approvazione del progetto esecutivo appare abbastanza tortuoso, in quanto è in contrasto con il vigente P.R.G. del Comune di Enego, contrasta pure con il P.T.R.C. adottato dalla Regione Veneto , dovrà essere adottata una apposita variante urbanistica e contestualmente approvata la V.I.A. , inoltre dovrà essere richiesto alla Regione Veneto – Dipartimento Foreste, il mutamento di destinazione d’uso delle aree che da pascolo verranno trasformate in aree da parcheggio perché gravate di uso civico.

ENERGIA NUCLEARE IN VENETO? NO GRAZIE


No alle centrali nucleari nel veneto, investire nelle energie rinnovabili: risoluzione approvata dal Consiglio regionale Veneto

17 settembre

Approvata dal Consiglio regionale Veneto di mercoledì 16/9 una risoluzione proposta dal centro sinistra che boccia la disponibilità dichiarata dal Presidente regionale Giancarlo Galan ad ospitare in Veneto nuove centrali nucleari.

NO ALLE CENTRALI NUCLEARI NEL VENETO, INVESTIRE NELLE ENERGIE RINNOVABILI

Con questo titolo è stata discussa in Consiglio Regionale, mercoledì 16/9, una risoluzione proposta dal centro sinistra. La Lega Nord si è astenuta e l’aula ha votato a favore di stretta misura.

Si è, di fatto, sconfessata da parte del Parlamento del Veneto la disponibilità dichiarata del Presidente regionale Giancarlo Galan ad ospitare in questa regione centrali nucleari, così come previste dal Governo Berlusconi.

Forti le critiche per il metodo adottato da Galan che, senza consultare la società civile e politica veneta, ha subito sposato la politica neonuclearista del Governo. Denunciato durante il Consiglio anche la individuazione di Chioggia come sito per una prossima centrale nucleare in Veneto.

Gianfranco Bettin: "Atto importante del Consiglio che critica il decisionismo del presidente Galan e invita a definire finalmente un piano energetico regionale con forti investimenti per lo sviluppo e la diffusione di tecnologie e applicazioni con fonti energetiche rinnovabili".

venerdì 18 settembre 2009

IMMAGINI DAL PRESIDIO CONTRO IL NUOVO PROGETTO DI SUPERSTRADA VALSUGANA

ECCO ALCUNE FOTO DEL PRESIDIO CHE SI E' TENUTO DAVANTI ALLA SEDE DELLA COMUNITA' MONTANA DEL BRENTA A CARPANE', PER PROTESTARE CONTRO IL NUOVO PROGETTO DI SUPERSTRADA VALSUGANA, DOVE ERA IN CORSO UNA RIUNIONE TRA L'ASSESSORE DEI TRASPORTI REGIONALI CHISSO E I SINDACI DEL TERRITORIO INTERESSATI AL PROGETTO.



venerdì 11 settembre 2009

APPROVATA UNA ENNESIMA CAVA IN VALBRENTA



Le immagini sono tratte dal blog http://www.gsv.altervista.org



VALBRENTA O VAL CAVA



La commissione regionale ha approvato i giorni scorsi l'ampliamento della cava di detrito "Valgrande", nel comune di Valstagna tra Collicello e Cornale dove è già presente un ampio scavo.
Questa cava deturperà la parte più bella paesaggisticamente della vallata già interessata da altre escavazioni come a Cismon e a Primolano.
Si tratta di un vasto appezzamento di terreno boschivo morfologicamente in scarpata.
Questi i dati della futura escavazione.
A sud ci sarà un ampliamento di 83.329 mq, mentre a nord l'ampliamento sarà di 94.486 mq.
La coltivazione è prevista per 250 giorni lavorativi all'anno, mediamente per 8 ore lavorative al giorno. La capacità estrattiva annua sarà di 150.000 metri cubi, pari mediamente a 600 metri cubi al giorno. L'escavazione arriverà fino a 4 metri di profondità dal piano stesso. La ricomposizione verrà eseguita con il riporto e la stesa di materiale sabbioso- limoso per il drenaggio delle acque meteoriche che arriverà a 7 metri sopra la strada. La strada poi verrà allargata verrà inoltre costruito un ponte per collegare Cismon rimarrà un terrazzo che sarà rimboscato e una pista ciclabile che lo attraverserà.
Il tutto per 20 anni di lavori.

martedì 8 settembre 2009

ALLARME CLIMA


Ban Ki-Moon, segretario generale dell’ONU lancia l’allarme per il clima

7 settembre

Andiamo verso l’abisso. Questo il senso del drammatico appello lanciato da Ban Ki-Moon alla Terza Conferenza Mondiale sul clima che si sta tenendo a Ginevra.

Clima, drammatico appello di Ban Ki-Moon: «Andiamo verso l’abisso»

GINEVRA. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon ha esortato la comunità internazionale ad agire «adesso» per lottare contro i cambiamenti climatici:

«Abbiamo il piede sull’acceleratore e ci stiamo dirigendo verso l’abisso», ha ammonito Ban Ki-moon in un intervento alla Terza Conferenza mondiale sul clima, in corso a Ginevra.

«Abbiamo scatenato forze potenti ed imprevedibili, il cui impatto è già visibile. L’ho osservato con i miei occhi», ha aggiunto Ban Ki-Moon reduce da una missione all’Artico, regione che si sta riscaldando più rapidamente di ogni altra regione della Terra.

Purtroppo - ha deplorato - c’e ancora «inerzia» e nelle discussioni internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici «osserviamo solo progressi limitati».

«Non possiamo permetterci il lusso di progressi limitati. Abbiamo bisogno di rapidi progressi», ha insistito.

Gruppo L’Espresso

4 settembre 2009

sabato 5 settembre 2009

PEDEMONTANA: UN'OPERA NON NECESSARIA



LA STORIA La Pedemontana nasce come Autostrada; all’inizio del 1997 i Sindaci dei vari Comuni interessati al tracciato del progetto dell’Autostrada Pedemontana Veneta (A.P.V.) furono convocati e informati dell'intenzione delle amministrazioni Provinciali (Vicenza, Treviso e Padova) e della Regione Veneto di avviare l’iter burocratico per la realizzazione dell'Autostrada.

A chi obbiettava, in tale sede, che i Comuni avevano approvato degli utilizzi diversi per le zone interessate al tracciato, veniva risposto che: “L'autorità della Regione superava quella dei Comuni”, e che “Nessun Sindaco doveva appoggiare proteste popolari” perché non sarebbe servito a nulla in quanto, nei palazzi che contano, le decisioni erano già state prese (una vecchia storia che conosciamo già!).

Ma c’era però una legge dello Stato che impediva la costruzione di nuove autostrade! Niente paura, le leggi si cambiano (oppure si aggirano), e così l’Autostrada si è trasformata in “Superstrada a pagamento!”, che però ha le stesse caratteristiche progettuali di un’autostrada.

IL TRACCIATO L’attuale progetto della Superstrada Pedemontana Veneta si divide in due segmenti: il primo parte, staccandosi dalla A27 Mestre-Vittorio Veneto a sud di Spresiano, passa tra Castelfranco e Montebelluna, punta verso la zona nord di Rosà (sud di Bassano) accostandosi al tracciato della provinciale Gasparona, per poi piegare decisamente a sud all'altezza di Breganze, fino ad incrociare l'A31 Valdastico a Dueville.

Il secondo segmento autostradale si stacca da Thiene, prosegue fino a Malo e continua nella val Leogra fino a Isola Vicentina. Da qui il tracciato prosegue in galleria profonda, sotto Priabona sbucando a Castelgomberto e proseguendo in territorio di Trissino e Montecchio Maggiore fino all'innesto con l’A4 Serenissima ad Alte.

MA SERVE VERAMENTE? II nostro territorio è fortemente urbanizzato e la forza della nostra economia è rappresentata in primo luogo dalle tante piccole e medie imprese. Tutti i cittadini ritengono - e noi con loro – che la mobilità delle persone e delle merci sia insoddisfacente, ma per risolvere i gravi problemi dati dal traffico locale bisognerebbe puntare con forza verso soluzioni che non siano solo il costruire sempre più strade ma sul trasporto collettivo delle persone e sulla razionalizzazione dello stoccaggio e mobilità delle merci.

Invece, così come viene concepita e per sua stessa natura, la Superstrada a pagamento Pedemontana non risolverà mai i problemi della viabilità locale, vista la non convenienza economica ad utilizzarla. Il problema del traffico sulle nostre strade è infatti costituito per 1’85% da veicoli a breve percorrenza (raggio di 15 km) e solo per il 15% da veicoli a lunga percorrenza.

In definitiva ci pare che si tratti di un’inutile ferita aperta sul nostro territorio, ferita che non rimarginerà mai più.

mercoledì 2 settembre 2009

L' ULTIMO ASSURDO PROGETTO DI SUPERSTRADA VALSUGANA






Zoom Foto


Articolo del Giornale di Vicenza sulla nuova proposta di Supestrada Valsugana.

Invitiamo tutti i lettori a scrivere al nostro blog per esprimere la loro opposizione a questo assurdo progetto.


Il tracciato della Superstrada Valsugana. In verde i tratti in galleria e in viola il viadotto di Campolongo

Lo svincolo in coincidenza della futura Pedemontana veneta a sud di Marsan, nel territorio comunale di Marostica, poi dritto verso nord in corrispondenza dell'incrocio fra la strada della Fratellanza e la Schiavonesca-Marosticana 248, nei pressi della Centrale del latte e del distributore Agip, sempre a Marsan, con un'altra connessione alla viabilità già esistente. E ancora verso nord, nella zona pedemontana compresa tra la strada provinciale della Fratellanza e via Rivana per infilarsi in galleria nelle colline bassanesi, uscire a Campese e percorrere in destra Brenta la zona industriale della frazione lambendo il territorio di Pove dove dovrebbe esserci un altro svincolo per un raccordo con l'attuale viabilità.
Quindi nuovamente in galleria, più o meno sotto il monte Caina, per tornare all'aperto a Campolongo, in località Contarini e da qui superare con un lungo balzo il Brenta su un viadotto di 35-37 metri d'altezza, approdando dall'altra parte della Vallata, poco a nord del cimitero di San Nazario. Qui ci si infila ancora in galleria per uscirne a Rivalta dove ci si innesta sulla esistente Ss 47.
È la "viabilità di proposta" della futura Ss 47 a pagamento come si intuisce dall' "Itinerario della Valsugana Valbrenta-Bassano-ovest-superstrada a pedaggio" elaborato dalla "Società impresa Pizzarotti & C. spa-Ing. Mantovani spa-Cis Compagnia investimenti sviluppo spa-Cordioli spa" (18 chilometri per 731 milioni di euro al netto dell'Iva, costo del proposta 18,2 milioni di euro), presentato il primo di luglio in Regione e che comincia a girare in fotocopia negli uffici comunali della Valbrenta. E naturalmente, in Vallata, monta la protesta per un progetto, e per una delibera regionale, che in periodo ferragostano ha colto di sorpresa tutti, sindaci e amministratori provinciali.
«È un fulmine a ciel sereno - dice il sindaco di Campolongo Mauro Illesi - non ne sapeva nulla nessuno. Eppure sarà pur venuto qui qualcuno a fare dei rilievi. Così si stravolge un accordo che ci aveva visto d'accordo tutti, Regione, Provincia, Anas, Prefettura e Comuni. La delibera della Giunta veneta del 4 agosto fissa un termine di 90 giorni per progetti alternativi. Naturalmente è un termine brevissimo. Tutto ciò è gravissimo. Si tratta del vecchio progetto "Berti", datato di qualche decennio fa, con l'aggiunta del tratto fra le colline bassanesi e Marsan. Inutile dire che l'impatto sarà devastante. In paese ci ritroveremo con un viadotto che valicherà il Brenta a 35-37 metri d'altezza sino all'altra parte della valle, sopra il cimitero di San Nazario. Ho sentito l'assessore provinciale Costantino Toniolo e so che non l'ha presa bene».
L'amministratore vicentino, in effetti, ha scritto al collega regionale Chisso chiedendo il coinvolgimento della Provincia berica nella progettazione e ricordandogli l'accordo sottoscritto per la progettazione del tratto Pove-Pian dei Zocchi.
La Provincia si è fortemente impegnata, anche finanziariamente con 1,68 milioni di euro, per far avanzare il progetto in sinistra Brenta. Già lo scorso ottobre Toniolo aveva sollecitato l'Anas a procedere nella direzione delineata a suo tempo dal ministro Di Pietro a seguito dell'incontro di Carpanè del 22 gennaio 2008. Evidentemente il governatore veneto Giancarlo Galan, che pure ha riscontrato la precedente ipotesi di variante alla Ss 47 nel piano quinquennale 2007-2011 dell'Anas e nella Legge Obiettivo 2001, ha registrato l'assenza concreta dei fondi necessari alla realizzazione di un tracciato che la delibera ritiene tra gli «obiettivi prioritari sia a livello nazionale che regionale». Constatazione che ha portato al mutamento di rotta verso il project financing che ha spiazzato tutti.
«Anche la Comunità montana - ribadisce Illesi - non sapeva nulla -. Cadiamo tutti dalle nuvole, ancor più riflettendo sul fatto che sul Pati si parlava ancora della galleria in sinistra Brenta».
Carlo Barbieri


lunedì 31 agosto 2009

GLI EFFETTI DEI CAMBIAMENTI CLIMATICI NEI NOSTRI TERRITORI


Zoom Foto


Da questo articolo del Giornale di Vicenza, ci si può rendere conto di come i cambiamenti climatici siano evidenti anche nel nostro territorio. In vari luoghi del vicentino le piogge di quest'estate definita "anomala" sono cadute come avviene nei paesi tropicali e hanno fatto notevoli danni.
Questo ci interroga su quando le politiche della Regione e dei comuni veneti in tema di ambiente andranno verso una riduzione delle emissioni di gas serra.

Un violentissimo temporale si è abbattuto sabato sera nella zona di Longa di Schiavon. Si è trattato di un vero proprio ciclone che ha causato danni molto gravi a case e aziende.
Ieri mattina, gli abitanti di Longa di Schiavon che risiedono nell'area di via Peraro, via S. Antonio e via Brentelle erano tutti occupati a contare e a riparare i danni, in alcuni casi consistenti.
Il nubifragio, con raffiche di vento violente, nel giro di pochi minuti ha sradicato alberi, fatto volare coppi e lamiere, danneggiato edifici e distrutto coltivazioni.
È l'ennesimo effetto di un'estate quanto mai anomala, durante la quale le piogge sono precipitate nelle modalità tipiche dei paesi tropicali, sempre accompagnate da grandine e vento fortissimi.
Stavolta, dunque, la conta dei danni è toccata a qualche decina di famiglie longhesi, sulle cui proprietà verso le 18 di sabato si è accanito un autentico ciclone. Il vento fortissimo ha sradicato alberi anche piuttosto alti, come quello del giardino della casa di Marco Ramina in via Brentelle. In alcuni casi gli alberi si sono spezzati e cadendo hanno danneggiato costruzioni e ringhiere. Sono intervenuti i vigili del fuoco di Bassano che hanno lavorato con alacrità fino alle 11 circa, cercando di rimediare ai danni più gravi.
Tra le più colpite, l'azienda agricola di Amedeo Bernardi, in via Peraro, e la ditta Grendene snc di minuteria metallica in via Brentelle.
«Sono tornato dalle ferie sabato alle 23.30 – spiega Bernardo Valerio della Grendene, che è anche presidente comunale degli artigiani – e mi sono trovato davanti a questa brutta sorpresa. Il vento ha sollevato i pannelli che ricoprono il tetto, alcuni dei quali sono caduti nel laboratorio. Certo, noi ed altre famiglie della zona abbiamo subito un bel danno, ma la cosa più importante è che non si sia fatto male nessuno».
Giordano Dellai